Con il termine gammopatie monoclonali (GM) vengono comprese un gruppo eterogeneo di situazioni di significato biologico/clinico che hanno in comune una proliferazione clonale di plasmacellule o di linfociti B secernenti immunoglobuline monoclonali intere o loro frammenti (catene leggere, catene pesanti) che vengono evidenziate come componenti monoclonali (CM) nel siero e/o nelle urine di questi pazienti. Rilevare, caratterizzare e misurare la CM è di fondamentale importanza nel guidare la diagnosi iniziale, stratificare il rischio di una eventuale progressione e nel monitorare la risposta alla terapia (1).
Il riscontro di una CM non è un evento raro. Gli studi epidemiologici forniscono stime diverse in quanto la prevalenza della condizione è fortemente dipendente dall’età dei soggetti considerati (più elevata nell’età anziana), dalla tipologia di popolazione esaminata (generale o ospedalizzata), nonché dalla sensibilità per il rilevamento delle CM delle tecniche elettroforetiche utilizzate per l’indagine (2-3).
Metodologie di laboratorio
Il sostanziale contributo del laboratorio nei diversi contesti clinici presuppone una specifica competenza volta ad una attenta ricerca, tipizzazione e misurazione delle CM anche più piccole (4-5) e alla costante collaborazione tra clinico e laboratorista per una appropriata gestione di questi pazienti. Per approfondire gli specifici argomenti di seguito trattati si rimanda ai documenti elaborati dal Gruppo Proteine della SIBioC (6-7-8).
L’elettroforesi delle sieroproteine (S-EF) è la tecnica che consente di rilevare l’omogeneità chimico-fisica della proteina secreta dal clone plasmacellulare ed è quindi, al momento, l’esame di elezione per la rilevazione delle CM sieriche e per la loro quantificazione. La S-EF viene eseguita sia a scopo di screening per la ricerca di una eventuale CM, sia per il monitoraggio del paziente con CM. La spettrometria di massa (9) sta emergendo come esame alternativo che potrebbe consentire di superare le diverse problematiche che affliggono la S-EF.
La caratterizzazione immunologica delle CM viene effettuata con immunofissazione su gel di agarosio (S-IF) o con imunosottrazione con tecnica capillare (S-IS) ed è necessaria per la conferma della natura immunoglobulinica della CM evidenziata al tracciato elettroforetico e per identificare l’isotipo della catena pesante e la classe della catena leggera della immunoglobulina secreta dal clone (8). La S-IF consente inoltre di evidenziare CM non rilevabili al tracciato elettroforetico o perché presenti in scarsa quantità (cloni oligosecernenti o secernenti IgD o IgE o catene leggere) o perché nascoste da altre proteine presenti fisiologicamente e migranti nella stessa zona elettroforetica (7-8).
La ricerca della proteina di Bence Jones (PBJ) nelle urine viene eseguita in primo luogo qualitativamente con una immunofissazione urinaria (U-IF) che consente di evidenziare la caratteristica di monoclonalità della catena leggera identificata. La quantificazione della PBJ dei campioni risultati positivi alla ricerca qualitativa, viene successivamente eseguita su un campione temporizzato tramite determinazione indiretta con scansione densitometrica del picco evidenziato misurato in rapporto alle proteine totali urinarie, oppure tramite determinazione diretta con saggi nefelometrici/turbidimetrici delle catene leggere libere. In entrambi i casi le metodiche utilizzate mostrano una serie di problemi tecnici ad oggi non interamente risolti (10-11).
La quantificazione nefelometrica/turbidimetrica delle catene leggere libere nel siero kappa (κ) e lambda (λ) (serum Free Light Chain, sFLC), sviluppata nei primi anni 2000 (12-13) ha segnato un rilevantissimo avanzamento nella diagnostica e nel monitoraggio laboratoristico dei pazienti con GM. Uno sbilanciamento quantitativo delle concentrazioni delle catene leggere libere kappa e lambda (rappresentato dal rapporto κ/λ, rFLC) viene ritenuto (sia pure con alcune riserve e cautele) una prova indiretta di clonalità. Questo esame fa oramai indiscutibilmente parte del pannello iniziale della valutazione di un paziente con CM (provata o sospetta) ed è in grado di rivelare e misurare una CM a catene leggere in quasi tutti i pazienti con malattia non secernente od oligosecernente e con amiloidosi AL (14). La misura delle sFLC può sostituire in alcuni casi la determinazione della PBJ (15); tuttavia nella amiloidosi AL e in altre situazioni caratterizzate da CM esigue o comunque elusive, la misura delle sFLC deve comunque essere associata a S-IF e U-IF per garantire la massima sensibilità diagnostica (16).
Il laboratorio è poi presente nella gestione del paziente con CM con altri esami al di fuori dalla diagnostica proteica, con determinazioni mirate alla verifica di un eventuale danno d’organo causato dal clone plasmacellulare. Tra queste rientrano la misurazione della creatinina sierica, della stima della velocità di filtrazione glomerulare (eGFR), delle proteine totali urinarie e della albumina urinaria relative al danno renale, la determinazione della emoglobina per la rilevazione della anemia, la misura del calcio sierico per la valutazione del versante osseo del mieloma multiplo e la misura del frammento aminoterminale del pro-peptide natriuretico di tipo B (NT-proBNP) e delle troponine cardiache per la messa in evidenza e il monitoraggio del danno cardiaco nella amiloidosi AL (17).
Inoltre, in alcuni Laboratori di centri specializzati il contributo della Medicina di Laboratorio viene ulteriormente approfondito con gli esami specialistici ad indirizzo Oncoematologico di Citogenetica, Citofluorimetria, Diagnostica Molecolare, Proteomica.
Bibliografia
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